n. 1794/2006 Reg. Sent. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Tribunale Amministrativo Regionale Per La Campania- Napoli

Prima Sezione

composto dai Signori:

Giancarlo Coraggio   Presidente

Fabio Donadono   Componente

Carlo Buonauro   Componente rel/est.

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A
 

sul ricorso n. 2064 del 2005 proposto da

G.O.SAF Spa, in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso, dall’avv. Umberto Gentile, presso cui domicilia elettivamente in Napoli alla Via del Parco Margherita n. 43

         RICORRENTE

CONTRO

Comune di Sant’Arpino, in persona del Sindaco legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Corrado Diaco, elettivamente domiciliato in Napoli alla Via dei Mille 40

RESISTENTE

Nonché

POLI-SUD s.n.c., in persona del legale rapp.te p.t.

CONTROINTERESSATA

Per l’annullamento

Con ricorso iniziale

Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 25-26.07.2005

- Della determina n. 1 del 24.02.05, con cui il Responsabile del servizio tributi ha disposto il ritiro della procedura di gara in questione.

Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 15.09.2005

Visto il ricorso con i relativi allegati.

Visti gli atti tutti della causa.

Designato alla pubblica udienza del 7 dicembre 2005 il relatore dr. Carlo Buonauro.

Uditi gli avvocati delle parti costituite come da verbale;

   Fatto

   La società ricorrente premette in fatto che, indetta una gara dall’amministrazione comunale resistente per l’affidamento del servizio di riscossione, gestione e recupero delle entrate comunali, da espletarsi secondo il sistema dell’appalto concorso e con criterio di aggiudiziazione individuato nell’offerta economicamente più vantaggiosa, la Commissione di gara all’uopo istituita, avendo individuato nell’offerta della stessa società odierna ricorrente quella più vantaggiosa per l’amminsitrazione, proponeva la medesima come aggiudicataria. Successivamente veniva sospesa ogni azione diretta alla definitiva aggiudicazione della gara, in ragione della circostanza che nel contempo l’amministrazione comunale aveva provveduto ad uno studio di fattibilità per la costituzione di una società pubblica multiservice che, tra i suoi compitit, avrebbe avuto anche la gestione dei tributi comunali.

   Con gli atti impungati l’ente comunale dava atto che le condizioni esistenti all’atto dell’espletamente della procedura de qua erano venute meno e che, pertanto, occorreva procedere all’adozione degli atti di revoca delle precedenti determinazioni, dando mandato al responsabile del procedimento per l’adozione degli atti conseguenziali, il quale successivamente provvedeva al ritiro d’ufficio della procedura di gara in questione (con atto anch’esso impungato in sede di ricorso recante i primi motivi aggiunti).

   Avverso tali determinazioni, ricorreva la ditta provvisoriamente aggiudicataria della gara poi revocata, impugnando, per vizi formali e procedimentali gli atti in epigrafe (incompetenza; violazione dell’art. 7 L. n. 241/1990 in tema di avviso del procedimento in relazione alla costituzione della multiservice; insufficienza motivazionale della disposta revoca) di cui chiedeva l’annullamento, e formulando al contempo ed in via subordinata, domanda di condanna al risarcimento della amministrazione appaltante a titolo di responsabilità precontrattuale di tutti i danni subiti. Si sostiene, comunque, l'applicabilità del principio di responsabilità precontrattuale, atteso che il colposo comportamento posto in essere dall'Amministrazione avrebbe ingenerato l'affidamento della ricorrente, con conseguente pregiudizio causato dal diniego di stipula del contratto di che trattasi.

   Con successivo, ulteriore ricorso recante altri motivi aggiunti censura l’atto con cui l’amministrazione comunale ha disposto la proroga del servizio affissioni in capo alla ditta precedentemente affidataria

   L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.

   Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 7 dicembre 2005.

   Diritto

   1. Il ricorso iniziale e quello recante i primi motivi aggiunti sono infondati e vanno respinti per le ragioni che seguono.

   1.1. Viene in primo luogo in considerazione la lamentata violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, integrata, secondo quanto prospettato dalla parte ricorrente, dal mancato avviso di inizio del procedimento, stabilito dall'art. 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241 con riferimento agli atti con cui si è determinata la costituzione di una società multiservice.

Va al riguardo osservato che un noto - ed ormai consolidato - orientamento giurisprudenziale, consacrato a livello legislativo nel disposto all’art. 21 octies, 2° comma, L. 241/1990, nel testo introdotto dalla  recente L. n. 15/2005, - individua le ipotesi per le quali siffatto obbligo di comunicazione acquista rilievo ai fini della legittimità dello svolgimento dell'iter procedimentale nelle sole fattispecie, comunque non attivate su iniziativa della stessa parte interessata, per le quali un apporto endoprocedimentale rivesta effettivo e concreto rilievo ai fini dell'adozione della conclusiva determinazione. In tal senso, è stato affermato che l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (previsto dal richiamato art. 7 della legge n. 241 del 1990) sussiste solo quando, in relazione alle ragioni che giustificano l'adozione del provvedimento, e a qualsiasi altro possibile profilo, la comunicazione stessa apporti una qualche utilità all'azione amministrativa, affinché questa, sul piano del merito e della legittimità, riceva arricchimento dalla partecipazione del destinatario del provvedimento; in mancanza dell'illustrata utilità venendo meno l'obbligo della comunicazione onde trattasi (Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1996 n. 283). 
Quanto alla fattispecie in esame, questo primo motivo di gravame va disatteso posto che

a) da un lato, l'esercizio del potere di autotutela (sostanziatosi nell'espressa volontà di non procedere alla stipulazione del contratto) risulta regolarmente (con riserva di successiva verifica circa il legittimo svolgimento di siffatta potestà) proceduto dal preavviso di esercizio di tale potere e delle ragioni che ne hanno determinato l’attivazione (cfr. nota prot. n. 11940 del 22.12.2004 in atti);

b) per altro verso, la volontà di procedere alla costituzione di una società multiservice cui affidare anche il servizio in questione, rientra nel novero degli apprezzamenti astrattamente rimessi all'esclusiva volontà dell'Amministrazione procedente, rispetto ai quali non appare ipotizzabile alcun apporto da parte dell'amministrato, di tal che va rilevato come non appaia configurabile, in relazione alle svolte considerazioni, alcun ipotizzabile margine di utilità, per l'azione amministrativa, riveniente dall'apporto endoprocedimentale ordinariamente consentito al soggetto nei cui confronti sono indirizzate le ricadute effettuali di quest'ultima: sì da indurre il Collegio ad escludere che, quanto alla fattispecie in esame, ricorressero i presupposti per rendere obbligatoria la comunicazione di avvio del procedimento di cui al ripetuto art. 7 della legge n. 241 del 1990. 
     1.2. Del pari infondata è la censura di incompetenza per essere stati gli impugnati atti adottati dal Consiglio Comunale in luogo del dirigente comunale di settore, pur trattandosi di atto di gestione riservato alla competenza di quest’ultimo. Contrariamente si osserva che con l’impugnata delibera consiliare si è dato atto del venir meno delle circostanze poste a base della precedente indizione, in virtù del preminente interesse pubblico all’affidamento diretto del servizio de quo alla costituenda società multiservice con connesso mandato al Responsabile Ufficio tributi di procedere all’adozione degli atti conseguenti, di tal che quest’ultimo, nell’ambito delle proprie competenze, ha adottato il provvedimento di revoca con determina n. 1 del 20.02.1005, successivamente impugnato in sede di primo ricorso per motivi aggiunti

      1.3. Viene quindi in considerazione l'affermato difetto motivazionale che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, inficerebbe l'impugnato provvedimento di autotutela, avuto particolare riguardo alla mancata emersione delle sottese ragioni di pubblico interesse.

      1.3.1 Va innanzi tutto rammentato come la giurisprudenza si sia data carico di precisare, per quanto concerne le pubbliche selezioni per l'affidamento a privati di lavori o servizi, gli ambiti di legittima esercitabilità del potere di autotutela, avuto particolare riguardo allo svolgimento del relativo procedimento ed alla precisazione del contenuto dell'obbligo di esplicitare le connesse ragioni giustificative. In primo luogo, è stato sottolineato come la P.A. che abbia dato avvio alla gara per l'aggiudicazione di un contratto assuma un vero e proprio impegno de contrahendo con i concorrenti prescelti, con conseguente insorgenza in capo all'Amministrazione, quando l'iter procedimentale abbia avuto inizio, dell'obbligo di proseguirlo in tutte le successive sequenze, fino alla definizione, a meno che non sussistano situazioni che obiettivamente ne impediscano la conclusione: restando tuttavia, in tal caso, a carico dell'Amministrazione stessa l'obbligo di precisarne l'esistenza e giustificare così il suo operato (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 17 ottobre 1985 n. 447). Conseguentemente:

- se va affermata la sussistenza di uno jus poenitendi da parte dell'Amministrazione - inteso come facoltà di revocare o annullare la gara - quando vi siano preminenti esigenze pubbliche che lo impongano, fatta salva (anche in considerazione della fase procedimentale più o meno avanzata, in cui le dette esigenze vengano rilevate) l'eventuale responsabilità pre-contrattuale ex art. 1337 c.c. (T.A.R. Toscana, sez. I, 30 maggio 1991 n. 313);

- la revoca degli atti di gara per l'aggiudicazione di un contratto è peraltro consentita soltanto laddove sussistano motivi di pubblico interesse, da indicare nel provvedimento, che sconsiglino la prosecuzione dell'iter concorsuale rendendone evidente l'opportunità: e ciò anche qualora vi sia già stata l'aggiudicazione, attraverso la non approvazione degli atti di gara e del relativo verbale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 1987 n. 890; nonché T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 13 maggio 1988 n. 286 e T.A.R. Sardegna, 30 luglio 1993 n. 969).

Analogamente, si ritenuto che, in materia di appalti pubblici e privati vige il principio del recesso ad nutum, che consente al solo appaltatore di liberarsi dal vincolo contrattuale quando siano venute meno le ragioni che lo avevano indotto al contratto; e pertanto, essendo tale principio applicabile anche in fase pre-contrattuale, è stato considerato legittimo il provvedimento di revoca della gara qualora la situazione di fatto sia medio tempore mutata rendendo superflua l'esecuzione dei lavori (T.A.R. Lazio, sez. I, 12 maggio 1987 n. 1020).

Può quindi convenirsi - in abstracto - circa l'immanenza, in capo alla Pubblica Amministrazione, della potestà di caducare gli atti della procedura di gara: 
- oltre che nel caso di riscontrate illegittimità inficianti lo svolgimento della procedura (ipotesi che, più propriamente, sostanzia la fattispecie dell'annullamento), 
- anche nel caso in cui sopravvengano circostanze che rivelino il mutamento dell'interesse pubblico all'espletamento della gara (facendosi luogo alla revoca dell'indetta selezione): di tale sopraggiunto mutamento l'Amministrazione dovendo nondimeno dare puntuale ed accurata motivazione nell'ambito del provvedimento di revoca (Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 1990 n. 28). La puntuale applicazione di note coordinate interpretative ha indotto l'elaborazione giurisprudenziale - una volta affermata la generale esercitabilità, in subiecta materia, del potere di autotutela - a focalizzare l'attenzione sull'obbligo motivazionale, quale fondamentale elemento di riscontro (attraverso l'analisi delle ragioni giustificative al riguardo tenute presenti dall'Amministrazione) del corretto esercizio della relativa pubblica potestà. In tal senso, trovasi affermato che nell'ambito del procedimento per la formazione dei contratti della P.A., affinché la revoca degli atti di gara possa ritenersi legittima, è necessario (e sufficiente) che sussistano fondati motivi di pubblico interesse - da indicare nel provvedimento - che sconsiglino la prosecuzione dell'iter concorsuale rendendone evidente l'inopportunità (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, n. 286 del 1988 cit.). In altri termini, il principio secondo il quale nei contratti della Pubblica Amministrazione l'aggiudicazione, in quanto atto conclusivo del procedimento di individuazione del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà dell'Amministrazione di concludere il contratto e della volontà del privato manifestata con l'offerta giudicata migliore (da tale momento sorgendo il diritto soggettivo dell'aggiudicatario nei confronti della stessa P.A.), non esclude la possibilità per quest'ultima di procedere, con atto successivo, adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d'ufficio ovvero alla non approvazione del relativo verbale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 1996 n. 1263 e sez. VI, 29 marzo 1996 n. 518, 30 aprile 1994 n. 652 e 16 novembre 1987 n. 890; nonché T.A.R. Campania, Napoli, 20 ottobre 1998 n. 3261).

      1.3.2. Trattasi di direttrici ermeneutiche da ultimo recepite a livello legislativo attraverso la puntuale regolamentazione del potere di revoca provvedimentale ad opera dell’art. 21 quinquies L. 241/1990, introdotto dalla L. n. 15/2005: tale norma, infatti, circoscrive con rigore i presupposti (prevedendo non solo le tradizionali ipotesi costituite dalla sopravvenienza di motivi di interesse pubblico ovvero di mutamenti della situazione di fatto, ma anche l’eventualità di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario) e le condizioni per il legittimo esercizio di siffatto potere di autotutela, nonché i conseguenti effetti (rispettivamente, sul piano dell’attività amministrativa, la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti; sul piano della tutela patrimoniale dei privati, l’obbligo generale di indennizzo delle situazioni di pregiudizio arrecate ai soggetti direttamente interessati, in conseguenza della revoca).

1.3.3. Nel caso di specie, parte ricorrente, dopo aver premesso che la facoltà dell’Amministrazione di revocare l’intera procedura di gara deve essere esercitata con particolare cautela e sulla base di una esauriente giustificazione dei motivi di interesse pubblico, ha rilevato che la determinazione con la quale fu comunicata all’aggiudicataria l’intenzione di non addivenire alla stipula non è invece sorretta da alcuna giustificazione concreta atta a consentire l’esercizio da parte della P.A. di siffatto ius poenitendi. 
A giudizio del Collegio tale argomentazione non resiste alle critiche dell’amministrazione resistente. 
Dal punto di vista formale, i provvedimenti di cui si discute risultano infatti esaustivamente motivati, nella misura in cui espressamente individuano nella costituzione di una società multiservice, e nella preminenza dell’interesse pubblico all’affidamento diretto a quest’ultima del servizio de quo, i motivi di pubblico interesse che imponevano di non procedere alla stipula del contratto.

Da un punto di vista più sostanziale, è pacifico in giurisprudenza che – come in precedenza rilevato – nelle gare per l'aggiudicazione dei contratti della Pubblica amministrazione, il diniego dell'approvazione dell'aggiudicazione è subordinato alla presenza di specifiche ragioni di pubblico interesse non riconducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità. (ad es. V Sez. 28.5.2004 n. 3463). 
E tuttavia in concreto, in virtù dei principi desumibili non solo dalle richiamata norme di legge, ma prima ancora dagli artt. 81 e 97 della Costituzione, appare evidente che l’obiettivo della p.a. di conseguire una razionalizzazione dei costi relativi alla gestione dei tributi comunali attraverso l’affidamento diretto del servizio in esame ad una società multiservice posta sotto il diretto controllo dell’amministrazione comunale in luogo di una società esterna affidataria della gestione del singolo tributo costituisce un fattore obiettivamente preclusivo all’adozione di provvedimenti di conclusione dell’avviato iter procedimentale.

Ne consegue che nel caso in esame il diverso disegno organizzativo perseguito dall’ente, e, dunque, la conseguente inopportunità di procedere ad un parziale e settoriale affidamento all’esterno del servizio, rappresentava grave motivo di pubblico interesse che legittimava l’Amministrazione a non dar ulteriore corso all’affidamento dell’appalto. (cfr. in termini Cons Stato IV Sez. 19.3.2003 n. 1457; e, da ultimo, IV Sez., ord. 7 marzo 2005 n. 920).

Si aggiunga, infine, che la stessa esigenza motivazionale sopra richiamata ha formato oggetto di diversificata considerazione in relazione alle diverse fasi di svolgimento dell'iter procedimentale di che trattasi, avuto riguardo alla complementare identificazione delle situazioni giuridiche soggettive riscontrabili in capo alla parte privata ed al connesso consolidamento di posizioni nei confronti delle quali l'ordinamento appresti un più o meno intenso grado di tutela.

Le ricadute di tale affermato principio sono rappresentate dalla nota affermazione per cui non solo l'annullamento d'ufficio, ma anche la revoca di una gara di appalto prima dell'aggiudicazione definitiva (come nel caso di specie, essendo l’intervento in autotutela intervenuto nei confronti di una gara solo provvisoriamente aggiudicata) non richiede una specifica motivazione sull'interesse pubblico, giustificandosi ex se in base alla sola riscontrata e dichiarata esistenza di vizi di legittimità ovvero di sopravvenuta inopportunità, in difetto di qualsiasi effetto di consolidamento dei risultati della gara (T.A.R. Umbria, 20 novembre 1994 n. 665, nonché, di recente, T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 5 maggio 2005, n. 737, secondo cui la delibera di revoca in autotutela dell'indizione di licitazione privata e la conseguente determinazione dell'Amministrazione di non procedere all'aggiudicazione definitiva è legittima allorquando dia conto nella motivazione delle specifiche ragioni che supportano il ritiro degli atti di gara, senza alcuna valutazione dell'eventuale interesse dell'aggiudicatario provvisorio al mantenimento di un atto non più rispondente all'interesse pubblico, posto che l'aggiudicazione provvisoria è mero atto endoprocedimentale). Di tal che anche sotto profilo non può trovare accoglimento la censura di parte ricorrente.

      1.4. Infine, inammissibili per evidente difetto di interesse si presentano le ulteriori doglianze di cui al ricorso originario volte a censurare la legittimità dell’atto costitutivo e dello statuto della costituenda società multiservice, ove si consideri che parte ricorrente, in qualità di aggiudicataria provvisoria del servizio in esame, non conseguirebbe alcuna utilità attuale e concreta dall’annullamento di tali atti.

      1.5. Da ultimo, residua, ai fini di un'esaustiva delibazione del proposto thema decidendum, la valutazione della richiesta risarcitoria proposta dalla parte ricorrente in via subordinata ed inquadrata nel sistema di una responsabilità precontrattuale per violazione dell'affidamento in essa ingenerato

     Sul punto occorre preliminarmente osservare, sulla scorta del recente ed autorevole indirizzo fornito dal massimo organo di giustizia amministrativa (Consiglio di Stato, sezione IV, ord. 7 marzo 2005 n. 920; Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 16 maggio 2005 n. 6), che la revoca dell'aggiudicazione e degli atti della relativa procedura vale a porre al riparo l'interesse pubblico dalla stipula di un contratto che l'amministrazione non ritiene più adeguato e rispondente a tale parametro valutativo. Residua però - dopo tale revoca (caducatoria dell'aggiudicazione e degli altri atti del procedimento) - il fatto incancellabile degli "affidamenti" suscitati nell'impresa dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi (affidamenti che sono perdurati fino a quando non è stata comunicata alla parte privata la revoca degli atti avanti ricordati).  
Ed invero l'impresa non poteva non confidare, durante il procedimento di evidenza pubblica, dapprima sulla "possibilità" di diventare affidataria del contratto e più tardi - ad aggiudicazione intervenuta - sulla disponibilità di un titolo che l'abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso. Occorre, naturalmente, che i comportamenti predetti - per porsi quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale - risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all'art. 1337 del c.c. e che, acclarata la ricorrenza di una condotta in contrasto col canone di comportamento imposto dall’art. 1337 c.c., verificare se la stessa abbia ingenerato il danno di cui viene chiesto il ristoro.

     Il discorso viene, con ciò, ad investire l’an ed il quantum del pregiudizio. Sul punto, in conformità con la giurisprudenza di questa Sezione (cfr., da ultimo, T.A.R. Campania – Napoli. sent. n. 1078/2006), occorre ribadire che nel caso della responsabilità precontrattuale il risarcimento non può essere riconosciuto al di là del c.d. interesse negativo, che comprende le spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto e le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali, non trovando per contro spazio la differente posta di pregiudizio costituita dal mancato utile relativo alla specifica gara d’appalto oggetto del successivo intervento di revoca

     Orbene, quanto al caso di specie, anche alla luce del duplice rilievo relativo al tempestivo esercizio del potere di autotutela e della condizione di aggiudicataria provvisoria rivestita dalla ricorrente, l’insufficiente allegazione e dimostrazione in ordine agli effettivi nocumenti subiti preclude l’accoglimento della spiegata domanda risarcitoria, in considerazione delle seguenti circostanze..

     Nulla può essere, nella specie, riconosciuto per la perdita di occasioni contrattuali favorevoli, trattandosi di circostanza che le ricorrenti non hanno allegata e di cui non v’è risultanza alcuna agli atti di causa.

     Quanto all'altra voce di danno emergente, il fatto che la ricorrente abbia partecipato alla gara, risultandone aggiudicataria provvisoria, avvalora la circostanza che siano state sostenute spese per la predisposizione e presentazione dell’offerta.

     Nulla, tuttavia, è stato allegato e provato in ordine al quantum di tale pregiudizio, malgrado incomba alla parte che chiede il risarcimento l'onere di dimostrare la consistenza del danno che assume di aver subito.

     La regola generale dell’onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la pretesa avanzata, trova infatti integrale applicazione nel processo amministrativo in tutti i casi nei quali siano nella piena disponibilità della parte gli elementi atti a sostenere la fondatezza della domanda giudiziale azionata (C.d.S., sez. V, 11.5.1998, n. 551), il che è tanto più vero in sede di giudizio risarcitorio, nel quale non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato che giustifica l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo.

     Le ricorrenti, invece, in ordine alla determinazione del danno subìto si sono limitate ad invocare l’applicazione dell’art. 35, co. 2, del d.lgs. 80/98, salvo quantificarlo in misura pari al prezzo offerto, maggiorato degli oneri di sicurezza (€ 108.844,90 + € 4.936,29), nonché a chiedere, in via subordinata, che sia disposta una consulenza tecnica di ufficio.

     Senz'altro è da respingere la richiesta di risarcimento in misura pari all’offerta presentata per la realizzazione dell’opera, maggiorata degli oneri di sicurezza, la quale è immotivata, indimostrata ed in contrasto con i principi in tema di risarcimento del danno precontrattuale, che è limitato all’interesse negativo.

     Non può trovare seguito neppure la richiesta di quantificazione della somma dovuta a titolo di risarcimento attraverso il peculiare strumento introdotto dal d.lgs. 80/98.

     L’introduzione nel diritto processuale amministrativo della condanna generica nella forma della c.d. “sentenza sui criteri”, prevista dall’art. 35, co. 2, d.lgs. 80/98, risponde all'esigenza di raccordare le norme della procedura civile alla tipicità del processo amministrativo, allorché la quantificazione del danno necessita di una ulteriore attività collaborativa dell'amministrazione (C.d.S., sez. V, 2 settembre 2005, n. 4461).

     Quando una simile esigenza non ricorre, perché tutti gli elementi idonei a comprovare la sussistenza e la consistenza del pregiudizio sono nella disponibilità del danneggiato, non vi è spazio per una sentenza del genere.

     E’ ciò che avviene nel caso in esame, trattandosi della quantificazione delle spese sostenute per partecipare alla gara: spese che solo le ricorrenti possono e debbono dimostrare, attraverso gli ordinari mezzi di prova. In un caso del genere, l’intermediazione della funzione amministrativa non è per nulla necessaria e una pronuncia ex art. 35, co. 2, d.lgs. 80/98 varrebbe solo a imporre all'amministrazione la ricerca di quei fatti che, ex art. 2697 c.c., spetta alla parte che li afferma provare in giudizio: con ciò sopperendo alla inerzia di quest'ultima e finendo per ingiustificatamente vulnerare lo stesso principio costituzionale di parità delle parti.

     Per ragioni analoghe, non è possibile neppure accedere alla richiesta delle ricorrenti di una consulenza tecnica di ufficio per la quantificazione del danno. La consulenza tecnica, infatti, ha di norma la funzione di fornire al giudice la valutazione dei fatti già probatoriamente acquisiti, e può costituire fonte oggettiva di prova soltanto quando si risolva anche in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili soltanto con ricorso a determinate cognizioni tecniche (Cass., sez. I, 20.6.1996, n. 5718; Cass., sez. III, 4 marzo 1995, n. 2514).

     Deve altresì escludersi la possibilità di una liquidazione equitativa del danno, la quale è subordinata all’impossibilità o alla rilevante difficoltà, in concreto, dell’esatta quantificazione della misura del pregiudizio (ex multis, Cass., sez. I, 10.7.2003, n. 10850; Cass., sez. III, 18.4.2001, n. 5687), vale a dire al fatto che il danno non sia altrimenti stimabile: il che senz’altro non è nel caso in esame. Orbene non sembrano, peraltro, essersi verificate, nel caso in esame, le condizioni volute dalla legge: non può infatti muoversi in capo all’amministrazione comunale alcun addebito in ordine alla mancanza di vigilanza e coordinamento sulla permanente convenienza degli impegni che l'amministrazione veniva assumendo quando la procedura di evidenza pubblica risultava già avviata e addirittura pervenuta all'aggiudicazione, ove si consideri per un verso la sollecita comunicazione delle sopravvenute ragioni ostative al perfezionamento del vincolo contrattuale, nonché, per altro verso, la condizione di mera aggiudicataria provvisoria che rivestiva l’impresa odierna ricorrente al momento dell’intervenuta revoca degli atti di gara.

Né per altra via può trovare ingresso nel presente giudizio la complementare tutela di tipo indennitario previsto dal menzionato art. 21 quinquies, quale forma di ristoro patrimoniale conseguente al legittimo esercizio del potere di revoca. Premesso in termini generali che

tutto ciò premesso, deve osservarsi che quest’ultima fattispecie non può venire in rilievo con riferimento al caso in esame: ed, invero, in disparte il rilievo per cui il carattere innovativo e non meramente ricognitivo di tale previsione normativa ne comporta l’inoperatività del relativo rimedio indennitario per fattispecie perfezionatesi anteriormente all’entrata in vigore del nuovo testo legislativo – si rileva come, in assenza di una specifica domanda al riguardo, non può venire in linea di conto la diversa istanza risarcitoria, stanti le differenze strutturali e funzionali tra i due istituti.

      2. Infine, quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, deve dichiararsi l’inammissibilità dello stesso in quanto diretto a censurare un atto del tutto privo di connessione rispetto ai provvedimenti inizialmente impugnati ed intervenuto tra soggetti distinti: ed, invero, censurandosi in tal guisa l’atto con cui l’amministrazione comunale ha disposto la proroga del servizio affissioni in capo alla ditta precedentemente affidataria, viene in rilievo una fattispecie insuscettibile di essere impugnata nelle forme del ricorso dei motivi aggiunti, pur nella sua rinnovata ed ampliata configurazione assunta a seguito della L. n. 205/2000.

      3. Quanto alle spese di giudizio, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

      P.Q.M.

      Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Prima Sezione di Napoli, definitivamente  decidendo sul ricorso emarginato

      - respinge il ricorso iniziale ed il ricorso recante i primi motivi aggiunti; dichiara inammissibile il ricorso recante i secondi motivi aggiunti.

      - spese compensate.

      Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

      Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 7.12.2005

      Giancarlo Coraggio                Presidente

      Carlo Buonauro  Estensore