REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO |
N. RS Anno 2006 |
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO |
N. 12016 RGR
Anno 2003 |
-SEZIONE II BIS- |
ha pronunciato la seguente
sul ricorso n. 12016/2003 proposto dal COMUNE DI SENIGALLIA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Ranieri Felici e Roberto Tiberi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Sergio Del Vecchio in Roma, Viale Angelico n. 38;
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO e MINISTERO DELLA SALUTE, nelle persone dei rispettivi rappresentanti legali p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e, per legge, domiciliati presso i suoi uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
e, per quanto occorrer possa, nei confronti di
WIND TELECOMUNICAZIONI S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Beniamino Caravita di Toritto e Sara Fiorucci, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via di Porta Pinciana n. 6;
con atto di intervento ad opponendum di
VODAFONE OMNITEL N.V., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Brizzolari e prof. Mario Libertini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via della Conciliazione n. 44;
per l’annullamento
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Visto l’atto di intervento in giudizio proposto da Vodafone Omnitel N.V.;
Viste le memorie prodotte dalle parti costituite a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, per la pubblica udienza del 1° dicembre 2005, il Consigliere Francesco GIORDANO;
Uditi gli avvocati come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Il Comune di Senigallia, nella dichiarata qualità di “ente politico” agente per la cura del generale interesse della collettività rappresentata ai fini della tutela della salute, del territorio e dell’ambiente, impugna i provvedimenti indicati in epigrafe, prospettando a loro carico le seguenti censure:
Disattendendo, senza motivazione, il parere congiunto delle Regioni, che segnalava la necessità di indicare diversi parametri relativamente ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità, lo Stato avrebbe completamente stravolto le finalità della legge quadro di cui all’art.1, addirittura diminuendo la tutela della salute della popolazione rispetto a quanto previsto nel precedente D.M. n. 381/1988.
Ritenuta l’applicabilità al caso di specie della normativa che attribuisce allo Stato la competenza, in ordine alle funzioni amministrative inerenti la produzione e l’impiego delle forme di energia capaci di alterare l’equilibrio biologico ed ecologico, si evidenzia la mancata acquisizione in materia del parere obbligatorio dell’Istituto superiore di sanità, nonché del parere del Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento elettromagnetico.
L’assenza di criteri per la determinazione delle distanze tra gli impianti e gli edifici, costituirebbe violazione del principio di minimizzazione, funzionale alla tutela della salute umana, nonché di quello di precauzione di derivazione comunitaria.
Il contestato decreto avrebbe ignorato i principi di precauzione e di tutela prioritaria della salute, tenendo conto in modo quasi esclusivo degli interessi dei produttori e dei distributori di energia elettrica, come bene primario dello Stato.
In una successiva memoria in data 11/11/2005 il Comune ricorrente ha ribadito le censure espresse nel ricorso introduttivo, insistendo per l’accoglimento dell’impugnativa con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa.
Hanno puntualmente controdedotto le parti resistenti, confutando tutti i motivi di doglianza e chiedendo il rigetto del gravame, con salvezza di spese ed onorari.
In particolare, l’Avvocatura dello Stato e la Vodafone Omnitel N.V. hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso, segnatamente sotto il profilo del difetto di interesse del ricorrente all’annullamento del provvedimento impugnato.
D I R I T T O
In via preliminare, può soprassedersi all’esame delle eccezioni di rito sollevate nei loro scritti dalla difesa erariale e dall’interveniente ad opponendum, atteso che il ricorso si rivela infondato nel merito.
Non coglie nel segno il primo motivo di doglianza, con cui l’istante ha sostenuto che l’avversato decreto sarebbe inficiato dalla carenza di una specifica motivazione, in ordine al contrasto insorto tra la proposta formulata dallo Stato e l’avviso congiuntamente espresso dalle Regioni, circa la necessità di indicare diversi parametri relativamente ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità.
Secondo il Comune ricorrente si sarebbe dovuto, in particolare, motivare in ordine alle ragioni per cui è stato previsto un valore di attenzione di 6 V/m, uguale a quello stabilito per gli obiettivi di qualità.
Così facendo è stata, in effetti, diminuita la tutela della salute della popolazione esposta, specialmente nelle aree intensamente popolate, con la previsione di valori di intensità del campo elettrico e magnetico, non supportata da un’indagine condotta avendo di mira la peculiarità della materia ed i rischi alla salute, che la legge quadro ha voluto invece che siano minimizzati.
Il Collegio ritiene, in primo luogo, non appropriato il richiamo dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, quantomeno nel senso che parte ricorrente ha inteso attribuirgli.
Se è vero, infatti, che il primo comma della predetta disposizione detta la regola in base alla quale ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, il secondo comma –fatto salvo, peraltro, dal precedente- introduce una rilevante eccezione al principio generale, stabilendo che la motivazione non è richiesta con riferimento agli atti normativi ed a quelli a contenuto generale.
Poiché, dunque, il contestato D.P.C.M. reca una disciplina generale ed astratta a contenuto sostanzialmente regolamentare, emanata in attuazione della legge quadro 22 febbraio 2001, n. 36, e si configura quindi alla stregua di un atto di normazione secondaria, non trova applicazione nei suoi confronti la prescrizione di cui al primo comma del menzionato art.3, con la conseguenza che esso si sottrae all’obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi.
Va, poi, evidenziato che l’Autorità procedente non era comunque tenuta a fornire giustificazioni sulla circostanza di aver “disatteso in modo palese” il “parere” congiunto delle Regioni, circa una diversa parametrazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità.
Invero, l’iter procedimentale che la legge delinea per l’esercizio delle funzioni dello Stato in materia di tutela dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, prescrive che i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, nonché le tecniche di misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico ed i parametri per la previsione delle fasce di rispetto per gli elettrodotti, sono stabiliti entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa (cfr. art. 4, comma 2 L. n. 36/2001).
Per la popolazione, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri va emesso su proposta del Ministro dell’Ambiente, di concerto col Ministro della Sanità, sentiti il Comitato di cui all’art. 6 e le competenti Commissioni parlamentari, previa intesa in sede di Conferenza unificata, di cui all’art. 9 del D. Lgs. 29 agosto 1997, n. 281 [cfr. art. 4, comma 2, lettera a) della legge n. 36/2001, cit.].
Statuisce, peraltro, il successivo comma 3 del menzionato articolo, che “Qualora entro il termine previsto dal comma 2 non siano state raggiunte le intese in sede di Conferenza unificata, il Presidente del Consiglio dei ministri entro i trenta giorni successivi adotta i decreti …”
Da quanto sopra discende che, nell’ipotesi di mancato raggiungimento dell’intesa in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni, come si è verificato nelle sedute del 24 ottobre e del 19 novembre 2002, l’adozione dei decreti di competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri non era soggetta all’obbligo di una puntuale motivazione idonea a giustificare le ragioni del dissenso.
Va aggiunto, tuttavia, che l’avversato decreto presidenziale ha espressamente richiamato nel suo preambolo gli atti istruttori posti a fondamento delle adottate determinazioni, vale a dire la raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 12 luglio 1999, il parere del Consiglio superiore di sanità espresso nella seduta del 24 giugno 2002, la dichiarazione del Comitato internazionale di valutazione per l’indagine sui rischi sanitari derivanti dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (CEM), la deliberazione del Consiglio dei Ministri assunta nella riunione del 21 febbraio 2003, nonché i pareri delle competenti Commissioni parlamentari.
Sicché non potrebbe seriamente affermarsi che i valori ed i limiti di esposizione fissati nel provvedimento, siano scaturiti da immotivati convincimenti e gratuite considerazioni avulse da qualsiasi indagine conoscitiva, atta a dare sufficiente contezza della razionalità delle scelte effettuate e dei criteri utilizzati.
Del resto, l’intendimento di avvalersi nella specifica materia di metodi e tecnologie sempre più efficaci, sicuri ed adeguati alla problematica originata dai valori di immissione dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, appare comprovato dal disposto di cui all’art. 7 del decreto in argomento, che demanda all’apposito Comitato interministeriale il compito di procedere, nei tre anni successivi, “all’aggiornamento dello stato delle conoscenze, conseguenti alle ricerche scientifiche prodotte a livello nazionale ed internazionale, in materia dei possibili rischi sulla salute originati dai campi elettromagnetici.”
Non risponde, infine, al vero e va conseguentemente disattesa l’ulteriore affermazione di parte ricorrente, secondo cui il decreto impugnato avrebbe introdotto un’immotivata equiparazione tra i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, riducendo il grado di tutela sanitaria della popolazione esposta, specialmente nelle aree intensamente popolate.
In effetti, i limiti di 6 V/m - 0,16 A/m e 0,10 W/m2, stabiliti dalle Tabelle 2 e 3 dell’Allegato B al decreto in argomento sia per i valori di attenzione (art. 3) che per gli obiettivi di qualità (art. 4), vanno letti con riferimento al preciso significato che la legge quadro attribuisce alle predette espressioni (cfr. art. 3, comma 1, L. n. 36/2001).
Se da un lato, il valore di attenzione rappresenta un misura di cautela che non deve essere superata negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate, l’obiettivo di qualità si pone come un valore tendenziale che va perseguito, ai fini della progressiva minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici.
La previsione, allora, di identici e contenuti valori di immissione, misurati all’interno di edifici, adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, e loro pertinenze esterne che siano fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili (valori di attenzione), ovvero calcolati all’aperto nelle aree intensamente frequentate, vale a dire anche nelle superfici edificate ovvero attrezzate permanentemente per il soddisfacimento di bisogni sociali, sanitari e ricreativi (obiettivi di qualità), non solo tiene conto di differenti situazioni di esposizione della popolazione interessata, ma risponde altresì all’esigenza di tutelare sempre meglio la salute dei cittadini, mirando progressivamente ad estendere l’elevata misura cautelativa costituita dal valore di attenzione, anche ad altre aree pure intensamente frequentate come i luoghi di aggregazione sociale e ricreativa o di assistenza sanitaria.
Il che si traduce non certo in una diminuzione della tutela, ma semmai in una più ampia azione di prevenzione dai rischi connessi alla prolungata esposizione ai campi elettromagnetici.
Anche il secondo mezzo di gravame è privo di pregio.
L’istante si duole della mancata acquisizione del parere dell’Istituto superiore di sanità (ISS), asseritamente obbligatorio ex lege, nonché di quello del Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento elettromagnetico, di cui agli artt. 4, comma 2 – lettera a) e 6 della legge n. 36/2001.
Quanto al primo, osserva il Collegio che la sua audizione non è prevista dallo speciale procedimento, delineato dall’art. 4, comma 2 della legge quadro.
Peraltro, l’Amministrazione ha ritenuto di acquisire il preventivo parere (favorevole, nella seduta del 24 giugno 2002) del Consiglio superiore di sanità (CSS) –istituito dopo la soppressione del Consiglio sanitario nazionale, avvenuta per effetto del D.Lgs. n. 266/93 (art.3, comma 1), recante il riordinamento del Ministero della Sanità- al quale il legislatore ha demandato il compito di formulare parere obbligatorio, in occasione dell’adozione dei regolamenti predisposti da qualunque amministrazione centrale che interessino la salute pubblica [art.4, commi 1 e 2, lettera a)].
Con riferimento, poi, al secondo parere, di competenza del Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento elettromagnetico, istituito dall’art. 6, comma 1 della legge n. 36/2001, si rileva che, contrariamente all’assunto di parte ricorrente, lo schema di decreto è stato sottoposto al predetto organo consultivo il quale, nella seduta del 2 agosto 2002, si è pronunciato favorevolmente all’unanimità (cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati: documento approvato dall’VIII Commissione permanente nella seduta del 24 marzo 2004, pag.4 – doc. n. 6 della produzione documentale Vodafone).
Del pari infondati sono i rilievi rubricati nel terzo punto di domanda, con cui l’intimante ha sostenuto l’illegittimità del decreto, a causa dell’omessa previsione di un sistema di distanze minime di rispetto degli impianti di telefonia mobile installati in prossimità o al di sopra di edifici abitati.
Al riguardo, al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci, va innanzi tutto sottolineato che la legge quadro demanda allo Stato la funzione relativa alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, senza fare alcun cenno all’individuazione di fasce di rispetto, ove del caso, basate su determinate distanze da zone sensibili degli impianti per l’emittenza radiotelevisiva e per la telefonia mobile [cfr. art. 4, comma 1, lettera a), h) e comma 2], fasce di rispetto che sono, invece, previste soltanto in relazione agli elettrodotti.
In perfetta osservanza della legge, dunque, la competente Autorità governativa ha provveduto ad individuare le misure, ritenute idonee a preservare la popolazione dall’inquinamento derivante dall’esposizione prolungata a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
A ciò aggiungasi che la giurisprudenza, sia costituzionale che amministrativa, ha escluso che, in materia di funzionamento dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi, si renda necessario fissare anche dei criteri distanziali oltre a quelli -già indicati dalla legge- fondati sul diverso limite di tolleranza, al fine di tutelare la popolazione dalle onde elettromagnetiche (cfr. Corte Cost. n. 307/2003 e n. 331/2003; Cons. Stato, Sez. VI, n. 4159 del 2005).
E’ stato, al riguardo, ritenuta l’illegittimità delle disposizioni che fissano vincoli di distanza minima, in quanto si traducono in limitazioni alla localizzazione delle infrastrutture di telefonia mobile, a detrimento della possibilità di realizzare sul territorio nazionale una rete completa di impianti per la telecomunicazione, qual’è richiesta dalla stessa tipologia del sistema concepito a schema c.d. “cellulare”.
Invero, il concetto di rete di telefonia mobile “cellulare” postula, per definizione, una diffusione capillare sul territorio, giacché esige la collocazione di un gran numero di stazioni radio base di limitata potenza, al fine di assicurare l’integrale copertura del servizio mediante la realizzazione di un compiuto sistema di “celle a nido d’ape”.
“Alla configurazione della rete segue la sua necessaria estensione alle zone interessate da insediamenti abitativi, in cui maggiore è la presenza dei soggetti che accedono al servizio di telefonia mobile” e, poiché, come sopra accennato, “Il sistema di telefonia cellulare si caratterizza … per la bassa potenza di emissione degli impianti (che irradiano il segnale ognuno in connessione con l’altro)” è intuitivo che “il loro allontanamento dagli insediamenti abitativi, oltre ad introdurre un evidente profilo di incompatibilità con la tipologia di rete a schema c.d. <<cellulare>>, viene a tradursi in un rafforzamento del segnale per illuminare la zona più remota.” (cfr. Cons. Stato, VI, n. 4159/2005, cit.).
Di conseguenza, l’introduzione, con riferimento agli impianti di telefonia cellulare, di fasce di rispetto ancorate a misure spaziali minime in aggiunta ai criteri basati sui valori di campo, produrrebbe un effetto opposto a quello che si è inteso concretamente perseguire.
Destituite di fondamento sono, infine, anche le censure dedotte nel quarto ed ultimo mezzo di gravame.
Non può, invero, condividersi l’assunto di parte ricorrente che tenta di accreditare la tesi, secondo cui i limiti di esposizione fissati dal censurato decreto, sarebbero gravemente lesivi del principio di precauzione, nonché del diritto alla salute costituzionalmente garantito in via prioritaria.
Premesso che, com’è noto, nel settore degli effetti sulla salute umana dell’inquinamento elettromagnetico causato dalla telefonia cellulare, e sui limiti di esposizione applicabili in base al pur ampiamente condiviso principio di precauzione, gli studi finora eseguiti, alcuni dei quali richiamati dalle parti, non sono pervenuti a conclusioni univoche e dotate di assoluta certezza ed attendibilità, si osserva che il contestato decreto presidenziale è stato adottato nel rispetto delle linee guida stabilite dalla raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 12 luglio 1999 (G.U.C.E n. L199 del 30 luglio 1999), relativa alla limitazione delle esposizioni della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz.
Ebbene, da un semplice raffronto tra i due documenti, non può farsi a meno di rilevare che il provvedimento qui censurato non solo non supera i limiti previsti dalla raccomandazione europea, ma addirittura fissa dei valori notevolmente inferiori a quelli stabiliti dal Consiglio dell’Unione, per ciò che concerne sia le intensità di campo (E e H) che la densità di potenza (D) (cfr. Allegato III – Livelli di riferimento- Tabella 2).
Una tale risoluzione appare in sintonia con il principio sancito dalla stessa raccomandazione (p. 15 della premessa) secondo cui gli Stati membri hanno facoltà, ai sensi del trattato, di fornire un livello di protezione più elevato di quello di cui alla presente raccomandazione.
Da quanto sopra consegue che in disparte la inammissibilità della censura, volta a sindacare nel merito le valutazioni dell’Amministrazione in ordine all’applicazione dell’invocato principio di precauzione, non appare credibile la tesi del Comune ricorrente, volta a far constare che i limiti di esposizione complessivamente fissati dall’avversato decreto, sarebbero gravemente lesivi del principio di precauzione e del diritto alla salute.
E si rivela, parimenti, inconsistente l’ulteriore doglianza dell’istante che pone a carico del D.P.C.M. di cui è causa, il rilievo di aver tenuto conto, in modo quasi esclusivo, degli interessi della produzione e distribuzione di energia elettrica, come bene primario dello Stato.
In effetti, la tutela dell’ambiente e della salute umana costituisce senza dubbio una finalità fondamentale e prioritaria dello Stato, ma occorre considerare che “la ratio della normativa in materia di valori-soglia di inquinamento elettromagnetico non attiene unicamente alla tutela della salute, ma, come ha osservato la Corte costituzionale (sent. cit. n. 307/03), “rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche e di realizzare impianti necessari al paese”.
In conclusione, il ricorso all’esame va rigettato, ma si rinvengono validi motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti del giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Seconda bis, respinge il ricorso meglio specificato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II bis, nella Camera di Consiglio del 1° dicembre 2005, con l’intervento dei signori Giudici:
Patrizio GIULIA Presidente
Francesco GIORDANO Consigliere rel. estensore
Renzo CONTI Consigliere
IL PRESIDENTE IL CONSIGLIERE ESTENSORE