Ric. n. 425/2005  Sent. n.565/06

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Avviso  di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della   L.   27  aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, costituito da:

      Umberto Zuballi Presidente

      Mauro Springolo Consigliere

      Riccardo Savoia Consigliere, relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 425/2005 proposto dalla WIND Telecomunicazioni SPA, in persona del procuratore p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Beniamino Caravita di Toritto, Sara Fiorucci e Giorgio Orsoni, e presso quest’ultimo elettivamente domiciliato, in Venezia, S. Croce, 205 

CONTRO

Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo De Simoni, Alessandra Montobbio, Vincenzo Mizzoni, Marina Lotto e Paola Munari e Alberto Bicocchi, con elezione di domicilio presso la segreteria di questo tribunale;

per l'annullamento

  visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato  presso la Segreteria con i relativi allegati;

  visto l’atto di costituzione dell’amministrazione resistente;

  Visti gli atti della causa;

  Uditi alla camera di consiglio del 7 luglio 2005 (relatore il Consigliere Riccardo Savoia), i procuratori delle parti come da verbale;

     richiamato quanto esposto dalle parti nel ricorso e nei loro scritti difensivi;

     ritenuto in fatto e diritto quanto segue:

     FATTO E DIRITTO

  1. Il Comune di Padova con la deliberazione del consiglio comunale n. 128 del 8 novembre 2004 ha approvato la variante parziale al piano regolatore generale per l’adozione del nuovo regolamento edilizio, provvedimento impugnato dall’odierna ricorrente con ricorso RG n. 50/2005. Tra le disposizioni di tale provvedimento la ricorrente ha impugnato il secondo comma dell’articolo 18 del regolamento, con cui l’amministrazione ha assoggettato le stazioni radio base alla autorizzazione unica comprensiva del permesso di costruire di cui al DPR 6 giugno 2001, n.380 nonché dell’autorizzazione all’installazione di cui all’articolo 87 del decreto legislativo 1 agosto 2003 n. 259. Sono state inoltre impugnate le disposizioni che hanno posto il divieto di installazione delle infrastrutture di telefonia mobile nei cosiddetti siti sensibili del territorio comunale (asilo, scuola, ospedale, casa di cura, aree per il gioco e lo sport, spazi adibiti all’infanzia in generale) e per le stazioni radio base con potenza di emissione superiore a 150 watt, nelle zone territoriali omogenee A, B, C, nonché quelle che hanno introdotto il criterio dell’altezza in base al quale gli operatori sono tenuti a rispettare rigide minuziose prescrizioni nell’installazione degli impianti. L’articolo 18, comma 3, ha subordinato l’installazione dei nuovi impianti sul territorio alla futura emanazione di uno specifico regolamento comunale.

Con ricorso proposto da altro operatore l’articolo 18 è stato annullato da questo Tribunale, sez.II, con sentenza n. 657 del 2005, dove è stata offerta una lettura della disposizione con la quale si chiede una autorizzazione unica comprensiva del permesso di costruire e dell’autorizzazione all’installazione prevista dal codice per le telecomunicazioni.

2. Con il provvedimento impugnato è stato emanato il detto regolamento, attraverso il quale il Comune ha dettato modalità, termini e rigorose prescrizioni a cui i gestori di telefonia mobile debbono attenersi per l’installazione delle infrastrutture di comunicazioni elettronica sul territorio comunale.

In particolare l’articolo 2 del regolamento ha suddiviso il territorio comunale in zone distinguendo tra:

– aree maggiormente idonee ;

- aree di attenzione;

–aree sensibili.

Il regolamento ha sostanzialmente vietato l’installazione degli impianti nelle aree sensibili e nelle aree di attenzione, consentendo in queste ultime esclusivamente una deroga motivata dalla necessità dell’installazione ai fini della copertura del servizio pubblico di telefonia e dall’impossibilità di soluzioni alternative di localizzazione. Inoltre l’amministrazione si è riservata la possibilità di indicare in maniera vincolante i siti di proprietà pubblica sui quali installare le antenne.

Per quello che riguarda più specificamente l’installazione, i gestori hanno l’obbligo di presentare, entro il primo settembre di ogni anno, un dettagliato programma di sviluppo della propria rete che intendono realizzare. Entro i successivi 60 giorni il Comune inizia il procedimento per l’approvazione del piano comunale delle installazioni degli impianti di telefonia mobile, il quale deve essere approvato in definitiva dal consiglio comunale. L’articolo 9 del regolamento stabilisce che non può essere autorizzata l’installazione di impianti in aree non previste da tale piano, salvo comprovate esigenze di copertura del servizio e previo parere del consiglio di quartiere interessato.

All’art. 7 la norma sul procedimento autorizzatorio prevede espressamente che l’installazione sia subordinata al rilascio del provvedimento autorizzatorio  da parte del responsabile dell’ufficio antenne e che in ogni caso l’installazione dell’impianto debba ottenere anche il permesso di costruire, posto che la realizzazione di opere in assenza o in difformità dell’autorizzazione è soggetta alle disposizioni del titolo quarto della parte prima del testo unico delle disposizioni legislative regolamentari in materia edilizia, relativo alla vigilanza responsabilità e sanzioni.

Al termine dei lavori il gestore è tenuto a presentare, insieme alla dichiarazione di fine lavori, un certificato di regolare esecuzione nonchè un certificato di collaudo funzionale che attesti il rispetto dei limiti posti dalla normativa, e nel caso di assenza di uno di tali certificati il comune può ordinare la disattivazione dell’impianto.

L’articolo 11 inoltre attribuisce il potere al consiglio comunale in sede di approvazione del piano comunale dell’installazione di prescrivere ai gestori la predisposizione di un piano di riassetto degli impianti esistenti.

3. Vengono dedotti i seguenti motivi:

A. violazione e falsa applicazione dell’articolo 86 del decreto legislativo n. 259, violazione e falsa applicazione del DPR n. 380 del 2001, violazione e falsa applicazione dell’ articolo 97 della costituzione, eccesso di potere per sviamento, eccesso di potere per illogicità manifesta.

Il motivo è volto contestare la disposizione che prevede la necessità di una autorizzazione per così dire aggiuntiva a quella rilasciata  dal responsabile delle antenne, costituita dal permesso di costruire, sul presupposto che l’autorizzazione ex articolo 87 assuma anche valenza edilizia, essendo onere dell’amministrazione comunale svolgere all’interno dello stesso procedimento anche la fase inerente al giudizio di conformità urbanistica del progetto presentato.

Sul punto la difesa dell’amministrazione solleva in via incidentale una questione di costituzionalità, poiché se fosse vero che l’autorizzazione all’impianto assorbisse anche il permesso di costruire vi sarebbe una incidente modifica alla disciplina del testo unico dall’edilizia, laddove tuttavia la delega contenuta nell’articolo 41 della legge n. 166 del 2000, legge delega per l’adozione del codice delle comunicazioni di cui al decreto legislativo n. 259 del 2003, non affida al legislatore delegato alcuna revisione della disciplina urbanistica edilizia, in ciò violando anche l’articolo 117 della costituzione laddove affida alla regione la potestà legislativa in materia di governo del territorio.

Il motivo di ricorso è fondato.

     Appare sul punto sufficiente richiamare la sentenza del Consiglio di Stato puntualmente citata nel ricorso n. 100 del 2005 che è utile riportare letteralmente :

     “Con maggiore impegno esplicativo, il Collegio è chiamato a chiarire se l’autorizzazione prescritta dal Codice delle comunicazioni sia destinata a costituire un titolo abilitativo aggiuntivo rispetto a quello richiesto dal Testo unico delle disposizioni in materia edilizia o se, viceversa, il conseguimento  del primo consenta già l’installazione.

     Occorre verificare quindi se il procedimento previsto dal citato art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche sia unico, contenendo ed assorbendo anche la verifica della compatibilità urbanistico edilizia dell’intervento, o se debba invece essere doppiato dal procedimento per il rilascio del titolo abilitativo a fini edilizi.

     Non ignora certo il Collegio che, nel primo dibattito sviluppatosi all’indomani dell’entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche, sono emerse in ambito dottrinale tesi contrapposte, tra cui anche quella volta a sostenere la persistente necessità del distinto titolo edilizio.

     A conforto dell’assunto sono state addotte  differenti  ragioni, tra cui in particolare:

     1) l’espressa assimilazione  delle infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, alle opere di urbanizzazione primaria, cui  “si applica la normativa vigente in materia” (art. 86, comma 3, d. Lgs. n. 259/2003), tra cui asseritamene anche gli artt. 3, comma 1, lett. e.2 del D.P.R. n. 380/2001, laddove espressamente indica gli “interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune” tra quelli assoggettati a permesso di costruire;

     2) la mancata previsione nel Codice delle comunicazioni elettroniche di una clausola di esclusività, intesa a consentire la realizzabilità delle infrastrutture ivi contemplate sulla sola base delle procedure definite dallo stesso Codice;

     3) la mancata inclusione nel Codice delle comunicazioni elettroniche di previsioni intese a modificare il menzionato Testo unico delle disposizioni in materia di edilizia.

     Il Collegio ritiene tuttavia di aderire alla tesi, certo semplificante, dell’assorbimento delle valutazioni urbanistico-edilizie nel procedimento delineato dall’art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche.

     A tale esito interpretativo è consentito pervenire in applicazione di una pluralità di parametri ermeneutici, di tipo non solo teleologico, ma anche testuale e sistematico.

     Sul primo versante, non è consentito obliterare la ratio sottesa all’intero codice delle comunicazioni elettroniche, come desumibile dai criteri di delega contenuti nell’art. 41 della legge n. 166/2002 e prima ancora nelle direttive comunitarie da recepire: “previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture e ricorso alla condivisione delle strutture; riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché regolazione uniforme dei medesimi procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al rilascio di autorizzazioni per la installazione delle infrastrutture di reti mobili, in conformità ai principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241” (art. 41, comma 2, n. 3) e 4), L. n. 166/2002).

     Non vi è dubbio che i criteri riportati, in specie quelli della previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture, della riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché della regolazione uniforme dei medesimi procedimenti, risulterebbero irrimediabilmente vanificati se il nuovo procedimento fosse destinato non a sostituire ma ad abbinarsi, peraltro in modo non coordinato sotto il profilo temporale, a quello previsto dal T.U. in materia edilizia.

     Può sostenersi, quindi, che al legislatore delegato sia stato assegnato il compito di delineare procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione tendenzialmente destinati ad assorbire ogni altro procedimento, anche di natura edilizia.

     Ciò posto in una prospettiva teleologica, il Collegio ritiene che sussistano plurimi elementi testuali dai quali è consentito desumere che il legislatore delegato si sia attenuto a tali criteri di delega, disciplinando agli artt. 86 e 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche un procedimento autorizzatorio nel quale confluiscono, in uno alle valutazioni tipicamente radioprotezionistiche, anche quelle relative alla compatibilità urbanistico-edilizia dell’intervento.

     In primo luogo, l’art. 4, D. Lgs. n. 259/2003, nell’indicare gli obiettivi generali della disciplina delle reti e servizi di comunicazione elettronica, ha riguardo tra gli altri a quelli di: “a) promuovere la semplificazione dei procedimenti amministrativi e la partecipazione ad essi dei soggetti interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti nei confronti delle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica; b) garantire la trasparenza, pubblicità e tempestività delle procedure per la concessione dei diritti di passaggio e di installazione delle reti di comunicazione elettronica sulle proprietà pubbliche e private” (comma 3).

     Già nel fissare le guidelines dell’intervento di riforma del settore, quindi, il Codice delle comunicazioni elettroniche fa espressamente riferimento alla semplificazione dei procedimenti e all’esigenza che gli stessi risultino tempestivi.

     L’art. 87, comma 5, inoltre, prevede che il responsabile del procedimento possa richiedere, per una sola volta, entro 15 giorni dalla ricezione dell’istanza, l’integrazione della documentazione prodotta; si tratta di facoltà al cui esercizio le amministrazioni comunali possono determinarsi proprio per ottenere le integrazioni istruttorie necessarie per approfondire eventuali aspetti urbanistico-edilizi dell’intervento.

     Non irrilevante, ancora, l’espresso riferimento, contenuto all’art. 87, commi 6 e 7, all’istituto semplificante della conferenza di servizi, alla cui  convocazione il responsabile del procedimento è tenuto in caso di motivato dissenso espresso da un’Amministrazione interessata.

     Si consideri, peraltro, che l’approvazione intervenuta all’esito della conferenza “sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole Amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori”: arduo non inferirne l’unicità del procedimento disciplinato dalla disposizione richiamata.

     Ad ulteriore conforto della tesi che si sostiene non può non richiamarsi, infine, la previsione di chiusura dell’art. 87.

     A tenore del comma 10, infatti, “le opere debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso, ovvero dalla formazione del silenzio-assenso”: agevole osservare che la previsione risulterebbe contradditoria allorché si aderisse all’opzione ricostruttiva intesa a pretendere comunque, per la realizzazione delle opere, il distinto titolo edilizio.

     La rimarcata assenza di una regolamentazione volta a coordinare sotto il profilo temporale il procedimento in esame con quello, assuntamene necessario, previsto dal Testo unico delle disposizioni in  materia edilizia, finirebbe per vanificare, infatti, in questa diversa e qui non condivisa prospettiva interpretativa, la previsione di cui al citato art. 87, comma 10, del Codice delle comunicazioni elettroniche.

     Rispetto agli indicati argomenti appaiono, quindi, ad avviso del Collegio, del tutto recessivi quelli addotti a sostegno della tesi contraria, primo tra tutti quello diretto a rimarcare la mancata inclusione nel Codice delle comunicazioni di una espressa previsione di deroga alla disciplina posta dall’art. 10 del Testo unico delle disposizioni in  materia edilizia.”

Del resto la seconda sezione di questo tribunale aveva già osservato che, peraltro, “risultano fondate le censure che si rivolgono all’interpretazione ed applicazione data dall’amministrazione intimata alla disposizione contenuta nel citato art. 18 del R.E., così come resa palese dalla nota del 23.11.2004, laddove viene richiesto il conseguimento, oltre all’autorizzazione ex art. 87 del D.lgs. n. 259/03, anche del titolo edilizio ai sensi del D.P.R.  n. 380/01;

  ciò in quanto – conformemente all’orientamento espresso dalla Sezione (cfr, T.A.R. Veneto, II, n. 2555/04 e 3295/04) -  l’autorizzazione rilasciata ex art. 87 del D.lgs. n. 259/03 assume anche valenza edilizia, essendo onere dell’amministrazione comunale, nel perseguimento dell’esigenza di semplificazione amministrativa indicata dallo stesso art. 87, comma 9, svolgere all’interno dello stesso procedimento anche la necessaria fase istruttoria inerente al giudizio di conformità urbanistica del progetto presentato, con conseguente assorbimento del permesso di costruire;”.

  Il Collegio ritiene di aderire alla menzionata prospettazione, idonea anche a superare la eccezione di costituzionalità proposta dal Comune.

B) Con il secondo motivo viene censurato l’art.3 del regolamento per violazione e falsa applicazione dell’art. 8 comma 6 della legge n.36/01  e dei citati artt.86 e 87 del D.Lgs. n. 259/03, nonché eccesso di potere per illogicità, incongruenza e arbitrarietà della motivazione, eccesso di potere per inosservanza di circolari e difetto d’istruttoria. Trattandosi di opere di preminente interesse generale, le installazioni di cui trattasi non possono essere soggette a divieti generalizzati in relazione alla loro collocazione, essendo così allocabili su tutto il territorio comunale; del resto la circolare regionale  n.12 del 2001 espressamente affermava che il divieto di installazione non può riguardare in modo generico zone territoriali omogenee; in ogni caso la scelta sarebbe immotivata, e irragionevole l’assimilazione di strutture come ospedali e case di cura con parchi e aree per il gioco e lo sport di base.

Osserva in replica il Comune che il regolamento lungi dal contenere un divieto generalizzato, contiene solo una cautela per poter procedere ad approfondito esame della motivata necessità di installazione di un impianto rappresentata dal gestore, ai finidell’eventuale deroga.

Il Collegio richiama la giurisprudenza della seconda sezione di questo tribunale secondo cui “ I Comuni hanno competenza ad emanare norme regolamentari con valenza urbanistico-edilizia, non invece con valenza radioprotezionistica, cioè sanitaria. Infatti, per essere legittimo, il potere comunale non può interferire con quello riservato allo Stato che fissa i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, nel presupposto indefettibile che la tutela della salute è un’esigenza di carattere unitario; sono pertanto illegittime, nella misura in cui risultano finalizzate a disciplinare l’uso del territorio sotto un profilo non strettamente urbanistico, bensì sanitario, le norme regolamentari che introducono precise disposizioni circa la localizzazione degli impianti basate sul rispetto delle distanze dalle aree intensamente frequentate. ( 7 ottobre 2005, n. 3639)

Tuttavia risulta pertinente anche il principio espresso da altra giurisprudenza secondo cui “nell’applicazione del principio di precauzione, la L. quadro n. 36/2001 - unitamente alla promozione dell’innovazione tecnologica e delle azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici - ha individuato i mezzi e gli strumenti per il perseguimento della tutela della salute umana, dell’ambiente e del paesaggio, nonchè gli Enti competenti a disciplinare i singoli ambiti di tutela (art. 8). Con specifico riguardo alle competenze comunali, la potestà regolamentare di cui all’art 8 configura una particolare competenza, che è distinta dalla (e si aggiunge alla) competenza urbanistica ed edilizia propria di tali Enti locali (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 3095/2002 e n. 4391/2003; T.A.R. Toscana, I Sezione, n. 3016/2005). Il Comune, dovendo tuttavia esercitare tale propria competenza nel rispetto del quadro normativo di riferimento, non può adottare misure che prevedano limiti generalizzati di esposizione diversi da quelli previsti dallo Stato né costituire deroghe pressoche generalizzate o quasi a tali limiti, essendo, invece, consentita l’individuazione di specifiche e diverse misure, la cui idoneità al fine della “minimizzazione” emerga dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico(cfr. cit. VI Sez. n. 3095/2002 nonché, più recentemente, VI Sez., n. 450/2005). Peraltro, l’intervenuta assimilazione delle opere per stazioni radio base alle opere di urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3, del D. Lgs. n.259/2003) non preclude al Comune, nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, la localizzabilità di dette opere in determinati ambiti del territorio, sempre che sia, in tal modo, assicurato l’interesse di rilievo nazionale ad una capillare distribuzione del servizio (cfr., in termini, Cons. Stato, IV Sez., Ordinanza 6.4.2004 n. 1612). ( cfr.T.A.R. TOSCANA, Sez. I - 3 Ottobre 2005, n. 4572).

  Pertanto la censura va disattesa, dovendosi dimostrare che la previsione ha l’effetto di impedire la capillare diffusione del servizio,  problema comunque risolvibile mediante il ricorso alla motivata deroga.

  In buona sostanza, sul punto la ricorrente non si rivela capace di dimostrare l’impossibilità di assicurare il servizio in forza del divieto di cui all’articolo del regolamento ( cfr. sul punto TAR Friuli, 2.9.04, n.552).

  C. Le richiamate decisioni e i principi da esse poste sono idonee anche alla reiezione del terzo motivo, laddove si contestava la disposizione regolamentare relativa alla possibilità di deroga, perché oltre ad attribuire al Comune competenze non proprie, attribuirebbe un potere discrezionale che può finire per configurarsi come arbitrio ( cfr. Corte cost. n.303/03).

  In realtà la dimostrazione dell’indispensabilità dell’impianto ai fini dell’operatività del servizio non costituisce altro che il presupposto motivazionale perché si avvii l’istruttoria volta alla concessione della deroga, senza sconfinare in arbitrio; spetterà all’operatore, in sede di proposizione delle proprie istanze al fine della predisposizione del piano comunale delle installazioni, dimostrare la necessità di una certa localizzazione, avviandosi un contraddittorio con il Dirigente del settore ambiente mirato al contemperamento delle opposte esigenze.

  D. La quarta doglianza censura l’art.3 laddove si ritenga che la suddivisione in zone e il divieto alla localizzazione abbia finalità sanitarie.

  Sul punto il collegio condivide quella giurisprudenza che afferma come “non spetta ai comuni disciplinare, nei regolamenti edilizi (nella specie, si tratta di regolamenti c.d. di minimizzazione, ai sensi dell’art. 8 L.36/2001), la installazione di stazioni radio-base di telefonia cellulare, con limitazioni e divieti generalizzati riferiti alle zone territoriali omogenee o con la introduzione di distanze fisse, da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino, allorché tale potere sia rivolto a disciplinare la compatibilità di detti impianti con la tutela della salute umana al fine di prevenire i rischi derivanti dalla esposizione della popolazione a campi elettromagnetici, anziché a controllare soltanto il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a disciplinare profili tipicamente urbanistici.” (CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 14 febbraio 2005 , n. 450); già si è offerta tuttavia dell’art.3 una diversa lettura che prescinde dalla tutela sanitaria sicchè la censura va respinta.

  E. E’ invece fondata la doglianza relativa alla previsione relativa all’indicazione vincolante dei siti di proprietà pubblica per l’installazione di nuove antenne e le eventuali delocalizzazioni, poiché spetta al gestore del servizio la scelta sulla localizzazione ottimale, potendosi certamente addivenire a un accordo consensuale, ma non conseguente a determinazione autoritativa ( cfr. questo tribunale, sez.II, n.3005/04).

F. Va respinta la sesta censura, laddove contesta la competenza consiliare all’approvazione del piano comunale delle installazioni degli impianti di telefonia mobile, poiché ai sensi dell’art.6 comma 2 del regolamento il piano “ costituisce parte integrante del Piano degli interventi  a mente dell’art.17 comma 2 lett.h) della LR Veneto 23 aprile 2004, n.11”: l’art. 18 sul punto dispone che” 2. Il piano degli interventi è adottato e approvato dal consiglio comunale. L'adozione del piano è preceduta da forme di consultazione, di partecipazione e di concertazione con altri enti pubblici e associazioni economiche e sociali eventualmente interessati.”: la censura va dunque disattesa.

  G. Anche il settimo motivo, con il quale si impugna l’art.10 comma 2, laddove prevede che l’attivazione dell’impianto sia subordinata alla presentazione di un certificato di collaudo funzionale eseguito da tecnico abilitato attestante la conformità al progetto e il rispetto dei limiti prescritti dalla normativa vigente, per costituire un aggravamento del procedimento, che il legislatore vorrebbe invece quanto più semplificato possibile, e per comportare gravi sanzioni quali l’ordine di disattivazione degli impianti, non appare fondato, laddove si osservi che proprio in forza della considerazione che il procedimento è unitario, comprensivo cioè sia dell’autorizzazione “elettronica” sia di quella edilizia, è necessario un momento di verifica congiunta, e anche la sanzione andrà ovviamente commisurata, in applicazione del principio della proporzionalità, alla gravità dello scostamento con i parametri normativi, ove presente.

  H. Con l’ottava doglianza si impugna l’art.11 laddove prevede che in sede di approvazione del piano delle installazioni può essere prescritta ai gestori la predisposizione di un piano di riassetto , con previsione di adeguamenti e delocalizzazioni di impianti  già esistenti, poiché vi sarebbe una violazione del principio di tutela dell’affidamento.

  La disposizione citata, rubricata come impianti esistenti in aree sensibili, sotto il capo IV “riassetto degli impianti esistenti” esattamente recita: “In sede di approvazione del piano comunale delle installazioni, anche su motivata istanza dei consigli di quartiere interessati, può essere prescritta ai gestori la predisposizione di un piano di riassetto con le modificazioni, gli adeguamenti e le eventuali delocalizzazioni degli impianti esistenti, in particolare di quelli installati in aree sensibili.”

  La disposizione sembra indirizzata a tutte le aree, come emerge dal capo e dal contenuto dell’articolo che specifica la particolarità di tali aree, mentre la rubrica sembra limitare a tali sole localizzazioni la possibilità di modifica e finanche di delocalizzazione; sul punto non c’è censura subordinata, volta cioè a sindacare l’esorbitanza della previsione in aree diverse da quelle sensibili, pur prospettabile, alla luce dell’evidenziata discrasia tra rubrica legis – che con il noto brocardo non est legis- e legis, ma il motivo è diretto ad aggredire la norma in sé laddove obbliga comunque al riassetto.

  Va osservato che per le aree sensibili è già l’art.3 che  afferma “che possono essere prescritte modificazioni, adeguamenti e delocalizzazioni degli impianti esistenti”, sicchè la previsione dell’art.11 vale unicamente a configurare l’esistenza di uno strumento specifico, costituito dal piano di riassetto, evidentemente volto a una sistemazione organica della linea e del servizio evitando una modifica puntuale ed episodica data dalla mera delocalizzazione di un impianto che può incidere sulla ricezione complessiva del segnale – o anche no, a seconda della possibilità di utilizzo di altri “ponti”- , piano assistito dalle guarentigie procedimentali relative al piano comunale delle installazioni degli impianti di telefonia cellulare.

  La questione potrebbe porsi invece per le aree d’attenzione, ove la delocalizzazione potrebbe operare solo in via consensuale.

  Il motivo, così interpretato, deve conseguentemente essere respinto.

  I. Anche il nono motivo è infondato, perché non è vero come postula la censura che il regolamento prevede l’obbligatorietà della coubicazione degli impianti, ma solo la preferibilità di tale sistemazione, rispondendo il c.d. co-sitting a evidenti ragioni di concentrazione ed economicità.

  Il ricorso deve pertanto essere accolto limitatamente al primo motivo e al quinto, e conseguentemente annullato l’art.7 del regolamento laddove richiede anche il permesso di costruire, con una duplicazione del procedimento,  e non un’autorizzazione congiunta che comprenda sia l’autorizzazione elettronica che quella edilizia, e l’art.3, nella parte in cui afferma che l’amministrazine si riserva di indicare in modo vincolante i siti pubblici ove installare o delocalizzare impianti,  e respinto per il resto, nei sensi di cui in motivazione.

  La domanda di risarcimento del danno deve essere parimenti respinta per genericità.

  Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione terza, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione,

lo accoglie in parte, e per l’effetto annulla l’art.3 e 7 del regolamento impugnato nei sensi di cui in motivazione, lo respinge per il resto, e respinge la domanda di risarcimento del danno .

     Spese compensate.

     Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

     Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 7 luglio 2005.

Il Presidente                                                                  L’Estensore 

Il Segretario 
 

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il… … … … … n…. … …

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione 
 

T.A.R. Veneto – III Sezione                                n.r.g. 425/05