Cari Colleghi,

ho letto con piacere e attenzione la lettera del collega Comazzi. Anch'io ho speso nei piccoli Comuni gli oltre 30 anni del mio lavoro da Segretario. In questi mesi presto servizio in un Comune soltanto, di 520 abitanti; fino a marzo avevo una convenzione con il Comune vicino, giunto primo nella recente e discutibile classifica de IlSole24ore a proposito di multe: altri 190 abitanti. Da novembre spero di tornare in convenzione, per ovvie ragioni: lo farò con un Comune che conta 900 anime. Non voglio di più. Ho sempre lavorato con convinzione e ho lavorato quanto basta: nient’altro. Da tempo, però, sono convinto di un aspetto: in Piemonte i Comuni sono 1206 e di questi ben 609 non raggiungono i 1000 abitanti. Ebbene, diciamocelo francamente, cari colleghi: che ci stanno a fare tanti Enti? Quei 609 non sono tutti abbarbicati su qualche montagna sperduta; molti (tra cui quello dove io lavoro) sono in pianura, magari anche vicinissimi al capoluogo di Provincia o a Comuni di dimensioni ben maggiori. Non hanno senso di esistere come Enti autonomi. Il problema è questo, a mio avviso. Non si tratta di unificare le segreterie lasciando a noi l'onere di correre su e giù per inseguire questa o  quella giunta, questo o quel consiglio: si tratta di accorpare i Comuni, come  tutti gli Stati d'Europa hanno fatto da tempo (ricordo in proposito un articolo di Italia Oggi di una decina di anni fa!). Se accadesse così, molti di noi perderebbero lauti scavalchi e redditizie convenzioni, lo so: c'è un collega da queste parti che segue undici Enti. Ma si lavorerebbe meglio, come si lavorava meglio trent'anni fa quando le convenzioni erano più rare. E la nostra categoria manterrebbe senso e prestigio, perché, diciamoci pure questo, i colleghi come quello che ho citato, che lavorano qua e là dedicando a ogni Comune tre o quattro ore la settimana, contribuiscono a dimostrare che di noi segretari si può fare a meno; e questo non ci giova. Certo, accorpando i Comuni diminuirebbero i posti: dal canto mio, spero che sia applicabile anche a noi l'art. 72 del decreto 112 di Brunetta; lascio il posto libero volentieri. Ma il problema resta. E non si dica, come fanno le associazioni dei piccoli Comuni, che c’è un fatto di identità culturale da difendere. Non è un argomento proponibile, per almeno due buoni motivi. Primo: le differenze non ci sono, sia perché la distinzione amministrativa tra un villaggio e l’altro non ha radici tanto lontane nel tempo, sia perché storia, lingua, cultura, tradizioni sono sempre molto vicine, se non le stesse. Ma se pure si vuole parlare di identità da salvaguardare, c’è un secondo argomento: la salvaguardia dell’identità non spetta all’Ente pubblico; compete ad altri soggetti, radicati nella realtà popolare, come le associazioni, le parrocchie, le confraternite ultrasecolari. Si riducano i Comuni e si lasci ai Segretari comunali lo spazio che è loro proprio e insostituibile: quello di autentici e professionali specialisti della gestione dei Comuni. Di questo, però, non si parla.

Cordialmente

Fabrizio Demelas

Comune di Massazza (Biella)

 

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